domenica 24 aprile 2016

Segnalazione: "I fratelli Kimball" di Valeria Di Spezio

Voilà una segnalazione made in Italy tutta per voi ;)

Venite a scoprire la storia de "I fratelli Kimball" di Valeria Di Spezio.



Genere:Letteratura Italiana

Anno di Pubblicazione : 2016

Autore:Valeria Di Spezio


TRAMA: I protagonisti, i fratelli Kimball, vivono ad Haworth, nello Yorkshire, e con i loro comportamenti bizzarri “offrono” alla loro madre, l'incarnazione della tipica mamma chioccia, non poche preoccupazioni. John, 25 anni, è l'unico maschio delle famiglia. Affascinante perditempo, cerca di racimolare denaro andando a caccia di segreti da sfruttare a proprio vantaggio. Alice, 23 anni, è la triste incantatrice di uomini, angelica e dolce. Si diletta con il cucito e quando non lavora sta affacciata alla finestra con il faccino leggermente inclinato a destra e gli occhi persi nel vuoto. Sarah, la più piccola, ha 19 anni. È il maschiaccio ribelle, esile fisicamente ma dal carattere forte. Convinta che i libri appartenuti al padre contengano il segreto per essere felici, passa molto tempo a studiarli, con ben scarso esito. Per svariati motivi i fratelli Kimball vivranno separatamente le proprie esperienze formative, incrociandosi tuttavia durante tutto il percorso narrativo.



Ecco un assaggio tutto per voi ;)

Quando il signor Kimball morì, l'intero paese di Haworth manifestò un sincero cordoglio, nonché una grande preoccupazione, per la vedova Annabelle e i suoi tre figlioli. Quella era stata davvero una pessima primavera, ricordata da tutti come “la primavera degli orfanelli” e divenuta, al pari dell'anno zero, un vero e proprio riferimento temporale. Prima o dopo la primavera degli orfanelli? Così si diceva. Ad aprire le macabre danze fu la famiglia Blair, con la morte durante il suo quinto parto di mamma Ellen. Finalmente una femminuccia dopo quattro mascalzoni e lei, povera donna, nemmeno se ne accorse. A seguire la morte della signora Gibson, costretta a causa di una polmonite folgorante a lasciare la sua piccola Daisy nelle mani del marito devoto e del Signore Dio nostro. Tantissime furono le lacrime versate per queste giovani donne, ma ben più copioso fu il pianto dovuto alla triste fine di George Kimball. I suoi orfanelli suscitavano infatti, nel cuore della comunità, una pena smisurata, poiché diversamente dai Blair e da Daisy Gibson non avevano una tomba dove adagiare un fiore o versare una lacrima. La nave sulla quale il loro padre salì in cerca di fortuna era, ahimè, destinata al naufragio. E così, in una nerissima notte di maggio, George, padre di tre bambini, fu ingoiato dalle onde e giù trascinato insieme alle sue più grandi speranze. Celebrata la messa ed esaurite le lacrime, ognuno tornò alla vita di sempre, preoccupandosi di lasciare fra le proprie preghiere un posticino per le anime dei defunti. I Blair, che necessitavano di assistenza più che di preghiere, lasciarono il paese non molto tempo dopo. Papà Blair pensò bene di raggiungere le sorelle per dare ai figli quel sentimento che più si avvicina all'amore di una madre: l'affetto di una zia. La famiglia Kimball e la famiglia Gibson, di condizioni economiche più agiate, restarono invece ad Haworth, mutilate entrambe, ma pronte a divenire col tempo protesi l'una dell'altra. Il vedovo Gibson era un vecchio amico di George ed era anche il padrino dell'ultima nata. Proprio lui, che aveva nel cuore lo stesso identico lutto, non poteva abbandonare quei piccini e fece ad Annabelle una promessa: non si sarebbe semplicemente occupato della loro contabilità, ma avrebbe vegliato sulle loro teste affinché nulla di male più accadesse. Passarono dunque tredici lunghi anni, in cui il signor Gibson dimostrò magnificamente di sapere tener fede alla parola data, e il tutto senza mai trascurare la sua adorata Daisy. Tuttavia, nonostante il suo grande zelo, non riuscì a tenere lontano dai figli “adottivi” alcune stranezze. Ognuno di loro aveva infatti dei comportamenti alquanto bizzarri, che non permettevano alla signora Kimball di stare un attimo tranquilla. John, di anni venticinque, nonostante le responsabilità spettanti a un primogenito, ampliate dal fatto di esser l'unico maschio della famiglia, allontanava da sé, e senza troppi indugi, ogni possibilità di un lavoro che si potesse quantomeno definire tale, un lavoro come tanti, insomma. Non aveva tempo per queste baggianate, le sue ricerche ne assorbivano troppo, troppo tempo e troppe energie, soprattutto di notte, quando “si scoprono le cose più interessanti”. Il ragazzo amava definirsi, anche pubblicamente, “un cacciatore di segreti”, e sebbene in molti lo credessero un perditempo, il più delle volte, con grande abilità e fiuto lungo, riusciva a ottenere dei denari. Nel paese, divenuto ormai una piccola cittadina di provincia, tutti, e dico tutti, dal più anziano al più piccino, dal vecchio al nuovo residente, tutti sapevano chi fosse John Kimball, figlio di quel George morto in mare. E se tutti lo conoscevano, in molti cercavano di stargli lontano, proprio per evitare di mettere in luce affari scottanti o nocivi pettegolezzi. La madre si era accorta delle preoccupazioni che la presenza del figlio spesso arrecava; lei stessa era stata vittima di un'odiosa emarginazione. Temeva che, continuando in quel modo, non avrebbe più trovato una sola fanciulla disposta a prenderselo: un fannullone e per giunta un ficcanaso, quale famiglia lo avrebbe mai accettato? Forse sulle famiglie non aveva poi tutti i torti, ma di fanciulle disposte a prenderselo, durante le pause del suo fantomatico lavoro, di certo non ne mancavano. Sempre sorridente e con i capelli arruffati, faccia da schiaffi e sguardo penetrante, come potevano non trovarlo irresistibile? Anche Alice, di anni ventitré, poteva vantare numerosi ammiratori, sebbene lei, a differenza del fratello che ogni santo giorno bighellonava in giro, raramente metteva il suo bel nasino fuori da casa. Usciva soltanto due volte la settimana, la domenica per andare in chiesa e un secondo giorno per andare in merceria. Alice era una brava sarta, richiesta anche dagli uomini, che in genere, lo sappiamo bene, non amano curarsi di certe cose. Che non ne apprezzassero solo le mani da fata era evidente, le mogli e le fidanzate non erano certo tanto sciocche da non comprenderlo, ma la ragazza aveva un viso così dolce, così angelico, che esse stesse ne subivano il fascino. E poi i suoi occhi tristi e velati la rendevano simile a cucciolo di daino. Suvvia, siamo onesti! Che timori può mai suscitare un cucciolo di daino? Questo suo isolarsi dal mondo aveva una causa piuttosto comune fra i giovani: una precoce delusione d'amore, ovvero un fidanzamento rotto sul nascere. Thomas Flynn (è questo il nome del responsabile di cotanta mestizia) dopo pochi mesi di fidanzamento si allontanò da lei per sbrigare alcuni affari a Londra. Lo aveva fatto a malincuore e con passione le aveva giurato che sarebbe tornato presto, tuttavia, una volta giunto nella grande città, pensò bene di cambiare idea. In una lettera breve ma altamente patetica comunicò alla ragazza la fine del loro fidanzamento, ritenendo opportuno menzionare la causa: una ballerina francese di nome Gisèle. In ragione di ciò, ogni volta che non cuciva o rammendava, Alice stava alla finestra con il faccino triste leggermente inclinato a destra e gli occhi persi nel vuoto, e non era affatto strano trovare lì, sotto quella finestra, un giovane speranzoso di ricevere uno sguardo vivace e magari un sorriso. Nessuno ad Haworth riusciva a capire in che razza di sortilegio fosse incappato quel sempliciotto di Thomas Flynn: Alice era “la più bella e cara ragazza al mondo e nel mondo, si sa, ci sta anche la Francia!” (parole di Toby Elliot, il più sincero dei suoi pretendenti). Molto carina ma non così bella era la sorella minore Sarah, l'unica dei figli ad avere i capelli rossi tipici degli Swan, ramo d'origine della madre. Sarah, che di anni ne aveva diciannove, era la figlioccia del signor Gibson ed era anche quella che dava ad Annabelle le preoccupazioni più grandi. Tralasciando il suo carattere impetuoso e litigioso che mal si abbinava alla sua delicata figura, il vero problema di Sarah era l'ossessione. Anche lei, come il fratello, era alla ricerca di un segreto, uno solo però, il segreto dei segreti, quello della felicità! Più strano della ricerca in sé era il metodo applicato, consistente nella lettura di tutti i libri appartenuti al padre. Questa stupida idea, divenuta ossessione con il passare del tempo, era balzata nel suo cervellino un paio di anni prima, durante un salutare, o almeno così si sperava, picnic domenicale. Si era appena appisolata all'ombra di una grande quercia, quando all'improvviso fu destata da un sogno che poi vero sogno non era, piuttosto il riaffiorare di un vecchio e caro ricordo. Il padre se ne stava comodo sulla propria poltrona a leggere vicino al caminetto acceso, mentre lei, seduta a sua volta sulle sue gambe, affondava la faccia nel petto e ne cingeva il torace con le braccina esili ma forti. Il signor Kimball leggeva libri di un certo spessore, nulla a che vedere con i bambini e la lettura da intrattenimento, eppure quasi ogni sera, anche senza fiabe, Sarah stava in silenzio sulle ginocchia di papà, in attesa di una qualsiasi osservazione sul testo. “Guarda qui!” le diceva, e puntando il dito sulla pagina leggeva a voce alta la frase che più lo entusiasmava; poi la commentava brevemente, solo per lei. Era la faccia estasiata di George il motivo per cui la sua piccina stava in quella poltrona, per ascoltare la sua voce calda e ridente. Quella sera però, la sera del ricordo riaffiorato, Sarah rimase con la guancia attaccata alla camicia dell'uomo e con gli occhietti socchiusi. Non vide nessuna frase dietro al suo dito, ma il commento era stato chiaro, inequivocabile: «Questo, bambina mia, è il segreto di ogni felicità. Non dimenticarlo!» E così, dopo essere sparita chissà dove, la frase “Non dimenticarlo!” tornò desiderosa di riscattare il tempo perduto, non concedendo alla giovane Sarah nessuna tregua.

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